lunedì 23 settembre 2013

I genitori di un ragazzino down vincono la battaglia della t-shirt

Non l´hanno presa come una burla ma semmai come uno scherzo offensivo, come lo specchio di una mentalità superficiale che rifiuta chi non rientra nella norma. E così a tempo record, a Villa Carcina, i genitori di un ragazzo down hanno raccolto quasi cinquecento firme in merito a una maglietta di pessimo gusto e hanno vinto la battaglia, «Pensavo avesse meno abitanti la Mongolia!» è il testo stampato sulla t-shirt incriminata e già ritirata dal commercio.
«Domenica mio marito e io ci siamo trovati davanti alla vetrina di un negozio di Concesio», come racconta Federica Carrari. «Esposte in bella vista c´erano alcune magliette: mi scappa l´occhio e, allibita, leggo quella frase. Sarà perché abbiamo un figlio con la sindrome di Down che sono rimasta così sconcertata? Sono entrata e ho chiesto alla commessa spiegazioni, ma lei non ha saputo darmene. Allora le ho dato le mie».
La maglietta in questione fa parte della collezione 2013 della My t-shirt - la ditta produttrice - che anche sul sito web viene denominata appunto «Mongolia».
«Evidentemente non per tutti è così chiaro il riferimento - dice questa mamma ormai abituata a combattere e a resistere -. Certo se citassero la Svezia o la Birmania si penserebbe a un messaggio turistico e forse nessuno la comprerebbe. Invece di sicuro qualcuno compra e indossa quella della Mongolia!».
LA NOTIZIA ha creato un forte dibattito mediatico che non si è fermato ai soliti social network, ma ha anche coinvolto personaggi come Franco Bomprezzi, giornalista che si dedica alla comunicazione sociale e all´informazione sulla disabilità. In pochi giorni è partita una petizione su change.org per chiedere alla ditta di togliere la maglietta dalla collezione e ai commercianti di non inserirla negli assortimenti in vendita.
L´Anffas di Brescia ha subito annunciato battaglia, condannando fortemente l´episodio. Ma i risultati sono arrivati prima del previsto: «Ieri la maglietta è stata ritirata, con relative scuse dopo 500 firme di petizione» afferma soddisfatto Valter Saresini, il padre del ragazzo. Se per qualcuno la questione sembra nascere dal modo di comunicare in gergo o da ordinaria cattiva maleducazione, da chi gestisce il marketing di un brand ci si aspetterebbe però più attenzione.
My t-shirt sembra aver recepito il messaggio. «Ci scusiamo per l´episodio. Abbiamo ingenuamente lanciato questa t-shirt riprendendo un modo di dire che, come fate giustamente notare voi, è purtroppo spesso erroneamente utilizzato nel linguaggio comune. Non volevamo assolutamente offendere nessuno e ritiriamo dal commercio immediatamente la maglietta in questione. Siamo mortificati». bresciaoggi

Marco Benasseni

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